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Serial killer: Paul Ogorzow

29/9/2014

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Nasce a Berlino nel 1912. Operaio delle ferrovie tedesche e membro del partito nazista, Ogorzow, durante la seconda guerra mondiale, divenne noto come l' "Assassino della S-Bahn" (la linea ferroviaria urbana).  Si appostava infatti a caccia di vittime femminili lungo la ferrovia, sulla linea per Berlino. Era un sadico che uccideva per il proprio piacere sessuale, godendo del terrore che provavano. Nel 1940 già tre donne erano state accoltellate e altre due aggredite all'interno dei distretti orientali di Rummelsburg e Karlshorst. Poi, in autunno, nel vicino sobborgo di Friedrichsfelde venne scoperto il corpo di un'altra giovane donna, Gerda Ditter,  madre ventenne di due figli: era stata strangolata e pugnalata al collo. Seguirono altre vittime: una donna di 30 anni fu picchiata fino a farle perdere conoscenza  e gettata da un treno in corsa non lontano dalle aggressioni precedenti. Il corpo della diciannovenne Irmgard Frese fu rinvenuto sul margine di una strada, vicino ai binari: aveva il cranio fratturato ed era stata violentata. Anche quello di Elfriede Franke, infermiera di 26 anni, venne trovato con lesioni alla testa a soli 500 metri di distanza dall'altro. Anche lei era stata gettata da un treno. La trentenne Elisabeth Bungener venne ritrovata vicino ai binari a Rahnsdorf ugualmente con il cranio fratturato. Una settimana dopo fu scoperto il corpo della quarantaseienne Gertrud Siewert. Anche nel suo caso erano riconoscibili le stesse modalità: aveva ferite alla testa ed era stata gettata da un treno. Pochi giorni dopo il corpo della ventottenne Hedwig Ebauer fu trovato in circostanze analoghe. Tutti questi casi, secondo la Polizia, presentavano lo stesso modus operandi  e si presumeva fossero stati tutti compiuti dall'assalitore sconosciuto, ormai noto come "L'ASSASSINO DELLA S-BAHN" . Poi gli attacchi del killer diventarono più sporadici. Passarono cinque settimane prima che l'uomo colpisse ancora  e venisse ritrovato vicino ai binari il corpo della 39enne Johanna Voigt: anche a lei erano state inferte profonde ferite al capo ed era stata gettata dal treno.

L'ultima vittima, la 35enne Frieda Koziol, fu rinvenuta cinque mesi dopo, con il cranio fratturato, nella stessa zona dove dieci mesi prima era stata uccisa la prima vittima.

Il caso di Paul Ogorzow è stato oggetto di un racconto semiromanzato in lingua tedesca  ed è stato considerato come soggetto di un film.

Gli impulsi che lo spingevano erano, a quanto pare, puramente sessuali. Ma i suoi crimini forniscono alcune indicazioni importanti anche sui pregiudizi ideologici dell'epoca.

I dieci mesi impiegati per la sua cattura non stupiscono se si considera che la Kripo, unità speciale della polizia creata per combattere i numerosi crimini che venivano compiuti durante il black out,  dovette affrontare una serie di ostacoli durante le indagini. Anzitutto, le autorità di Berlino non volevano dare risalto agli omicidi per non creare panico, per cui alla pubblica opinione veniva comunicato solo lo stretto necessario: una potenziale fonte di dati venne così sacrificata. Un problema serio, inoltre, era rappresentato dai blackout, le cui restrizioni costituirono una manna per i criminali di Berlino. Lo stesso Ogorzow sfruttava il buio per inseguire le sue vittime e poi fuggire con facilità protetto dalla notte. Inoltre, la Kripo lavorava  in un contesto di preconcetti e pregiudizi. Il primo era l'eccessivo grado di fiducia accordato a chiunque indossasse un'uniforme. Sebbene la vittima di una delle prime aggressioni avesse indicato che il suo assalitore indossava il cappotto delle ferrovie tedesche,  la Kripo prese in considerazione la possibilità che l'assassino fosse effettivamente un ferroviere solo molto più tardi. Furono inoltre riportate considerazioni fuorvianti: alcuni ufficiali suggerirono che l'aggressore avrebbe potuto essere uno dei tanti ebrei che lavoravano nelle ferrovie, oppure che si potesse trattare di un agente segreto britannico, oppure ancora che l'assassino potesse essere un lavoratore straniero, uno dei tanti di solito deportati contro la loro volontà per soddisfare le esigenze di manodoperra dei settori industriali e commerciali.

Pare quindi che all'inizio Orgozow non fosse stato preso seriamente in considerazione come sospetto, ma che avesse piuttosto fatto una buona impressione. Descritto come "diligente e laborioso, felicemente sposato con due figli", appartenente al partito nazista, Ogorzow rispondeva a tutte le aspettative che il regime aveva verso un membro solido e corretto della società tedesca.

Tuttavia, nelle indagini della polizia riaffiorava sempre il nome di quell'assistente segnalatore di 28 anni della S-Bahn, che aveva suscitato il sospetto dei colleghi a causa della sua forte misoginia e dell'abitudine, nelle ore di servizio, di saltare la recinzione perimetrale ed allontanarsi. Ogorzow fu arrestato e sei giorni dopo, al termine di un intenso interrogatorio, ammise finalmente  otto omicidi, sei tentati omicidi e altri 31 casi di aggressione.

 Quando iniziò il suo processo, nel 1941, Ogorzow non ebbe comprensione da parte dei suoi compagni nazisti. Impazienti di gettarsi alle spalle lo scandalo, i leader di partito sbrigarono la seduta in un solo pomeriggio, condannandolo a morte.

Durante il processo, fu descritto come "un assassino dalla natura fredda e calcolatrice che sfruttava i blackout per soddisfare le sue depravate pulsioni sessuali". Prima della fine dello stesso mese in cui aveva commesso il suo ultimo omicidio, Paul Ogorzow fu processato, condannato e ghigliottinato nella prigione di Plotzensee.

[ a cura di G. Starnotti]
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Serial killer: Vincenzo Verzeni

22/9/2014

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Quello di Vincenzo Verzeni, noto come “lo Strangolatore di donne” o “il Vampiro Bergamasco”, è il primo caso di omicida seriale studiato scientificamente: se ne occupò infatti Cesare Lombroso.

Nato  nel 1849 a Bottanuco, nel Bergamasco, vive l'infanzia in una famiglia disagiata, non solo economicamente: il padre infatti è alcolizzato e violento, mentre la madre, remissiva e bigotta, soffre di epilessia.

Verzeni inizia la sua carriera criminale all'età di 18 anni: nel 1867 infatti aggredisce nel sonno la cugina Marianna, che abita nella sua stessa casa, e tenta di morderle il collo. Fugge però dinanzi all reazioni della dodicenne.

Nel 1869 una donna, Barbara Bravi, viene avvicinata da un individuo che tenta di strangolarla. Alle sue grida, però, l'aggressore fugge. Pur non riuscendo a vederlo, la donna non escluderà che possa essere stato Verzeni. Ancora nel 1869, Margherita Esposito viene aggredita da un uomo che identificherà poi nel Verzeni; nello steso periodo un'altra donna, Angela Previtali, viene aggredita e trascinata in un luogo isolato, trattenuta per alcune ore e poi liberata dal Verzeni per compassione.

E' però nel 1870 che il “Vampiro Bergamasco” uccide per la prima volta, accanendosi su  Giovanna Motta, una ragazzina di 14 anni probabilmente scelta a caso. La  soffoca, la morde, ne beve il sangue, ne asporta gli organi interni e i genitali. Pochi mesi dopo, nel 1871, anche Elisabetta Pagnoncelli verrà trovata uccisa con un modus operandi molto simile a quello della Motta. Sulla scena di entrambi i delitti vengono ritrovati degli spilloni disposti  in forma simmetrica, quasi rituale, il cui significato è però rimasto oscuro. La sera precedente al secondo delitto, Verzeni aveva cercato di uccidere Maria Previtali, senza riuscirci; fu in seguito a tale fatto che venne arrestato: invitata ad indicare il suo aggressore, infatti, la donna riconosce Verzeni come colpevole.

Cesare Lombroso, incaricato della perizia psichiatrica, gli diagnosticherà la pellagra (che egli considerava, come l'epilessia, un indice di comportamento criminale) in forma avanzata. Lo riterrà “affetto da necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari”, definendolo “un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana”: diagnosi sostanzialmente corretta seppure basata sulle improbabili valutazioni fisiognomiche tipiche della teoria lombrosiana.

Processato e condannato ai lavori forzati a vita, si salverà per un voto dalla pena di morte. Forse a65nche grazie alla perizia di Lombroso, che pur non ritenendolo infermo di mente lo indica come criminale patologico “nato”.

Solo dopo la sentenza il “Vampiro Bergamasco” racconterà a Cesare Lombroso il perché dei suoi efferati rituali  e come ogni azione fosse strettamente legata all'eccitazione sessuale che egli provava: descriverà minuziosamente l’eccitazione prodotta dall'atto di strangolare le sue vittime e di succhiarne il sangue dopo aver fatto scempio del corpo. 

Vincenzo Verzeni non reggerà a lungo ai lavori forzati e nel 1874 verrà trasferito nel  manicomio criminale di Milano dove presto tenterà il suicidio, dopo aver gravemente ferito un infermiere mordendolo ai genitali e causandogli l’asportazione di un testicolo. Secondo la versione ufficiale sarebbe morto a seguito del tentativo di suicidio, ma studi recenti sembrano datare la sua morte al 1918, nel paese di origine in cui era tornato dopo aver scontato 30 anni di carcere.

[A cura di G. Starnotti]
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Serial Killer: William Dale Archerd

15/9/2014

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Nato nel 1912 in Arkansas, fin da giovanissimo fu affascinato dalla medicina. Privo tuttavia dei mezzi economici e dell'impegno  necessario per seguire i corsi regolari, trovò lavoro in ospedale, dove accumulò attraverso la pratica una discreta conoscenza dell'uso dei farmaci. Nel 1940 venne assunto presso il Camarillo State Hospital in Cailfornia, nel reparto in cui venivano utillizzate terappie insuliniche per il trattamento delle malattie mentali. Nel 1950 fu condannato a S. Francisco per possesso illegale di morfina e messo in libertà vigilata per 5 anni. Tuttavia, a causa di un secondo reato, gli venne revocata la libertà vigilata e fu rinchiuso nel carcere di Chino. Evaso nel 1951, fu rapidamente catturato e trasferito nel carcere di San Quintino. Nel 1953 però gli venne concessa la libertà condizionale.
Anche la sua vita privata fu alquanto movimentata: delle sue 7 mogli, sposate in 15 anni, 3 morirono per misteriose malattie , tra il 1958 ed il 1966. Anche un numero sospetto dei suoi amici e parenti morì in strane circostanze.
Nel  1967 venne arrestato con l'accusa di tre omicidi di primo grado: quello della quarta moglie, morta nel 1956 dopo soli due mesi di matrimonio; quello di un giovanissimo nipote, morto nel 1961, e quello della settima moglie, la scrittrice Mary Brinker Arde, morta nel 1966. Secondo l'accusa, Archerd li avrebbe commessi praticando un'overdose di insulina, producendo in tal modo attacchi letali di ipoglicemia.  Fu sospettato anche di altri tre omicidi: quello di un amico, morto nel 1947; quello della quinta moglie, morta nel 1958, e quello di un altro amico, morto nel 1960. In tutti e tre i casi le vittime avevano mostrato i classici sintomi dell'ipoglicemia al momento del decesso.
Nel 1968 Archerd venne quindi condannato per tre omicidi; fu il primo caso negli Stati Uniti  in cui venne usata l'insulina come arma del delitto. La sua condanna a morte venne confermata dalla Corte Suprema dello Stato della California nel 1970 ma convertita in ergastolo due anni dopo. Il fatto che fra le vittime dei suoi omicidi vi fossero le sue malcapitate mogli gli valse il soprannome di “Barbablù”. Morì in carcere nel 1977.

[a cura d G. Starnotti]
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