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Serial killer: Vincenzo Verzeni

22/9/2014

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Quello di Vincenzo Verzeni, noto come “lo Strangolatore di donne” o “il Vampiro Bergamasco”, è il primo caso di omicida seriale studiato scientificamente: se ne occupò infatti Cesare Lombroso.

Nato  nel 1849 a Bottanuco, nel Bergamasco, vive l'infanzia in una famiglia disagiata, non solo economicamente: il padre infatti è alcolizzato e violento, mentre la madre, remissiva e bigotta, soffre di epilessia.

Verzeni inizia la sua carriera criminale all'età di 18 anni: nel 1867 infatti aggredisce nel sonno la cugina Marianna, che abita nella sua stessa casa, e tenta di morderle il collo. Fugge però dinanzi all reazioni della dodicenne.

Nel 1869 una donna, Barbara Bravi, viene avvicinata da un individuo che tenta di strangolarla. Alle sue grida, però, l'aggressore fugge. Pur non riuscendo a vederlo, la donna non escluderà che possa essere stato Verzeni. Ancora nel 1869, Margherita Esposito viene aggredita da un uomo che identificherà poi nel Verzeni; nello steso periodo un'altra donna, Angela Previtali, viene aggredita e trascinata in un luogo isolato, trattenuta per alcune ore e poi liberata dal Verzeni per compassione.

E' però nel 1870 che il “Vampiro Bergamasco” uccide per la prima volta, accanendosi su  Giovanna Motta, una ragazzina di 14 anni probabilmente scelta a caso. La  soffoca, la morde, ne beve il sangue, ne asporta gli organi interni e i genitali. Pochi mesi dopo, nel 1871, anche Elisabetta Pagnoncelli verrà trovata uccisa con un modus operandi molto simile a quello della Motta. Sulla scena di entrambi i delitti vengono ritrovati degli spilloni disposti  in forma simmetrica, quasi rituale, il cui significato è però rimasto oscuro. La sera precedente al secondo delitto, Verzeni aveva cercato di uccidere Maria Previtali, senza riuscirci; fu in seguito a tale fatto che venne arrestato: invitata ad indicare il suo aggressore, infatti, la donna riconosce Verzeni come colpevole.

Cesare Lombroso, incaricato della perizia psichiatrica, gli diagnosticherà la pellagra (che egli considerava, come l'epilessia, un indice di comportamento criminale) in forma avanzata. Lo riterrà “affetto da necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari”, definendolo “un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana”: diagnosi sostanzialmente corretta seppure basata sulle improbabili valutazioni fisiognomiche tipiche della teoria lombrosiana.

Processato e condannato ai lavori forzati a vita, si salverà per un voto dalla pena di morte. Forse a65nche grazie alla perizia di Lombroso, che pur non ritenendolo infermo di mente lo indica come criminale patologico “nato”.

Solo dopo la sentenza il “Vampiro Bergamasco” racconterà a Cesare Lombroso il perché dei suoi efferati rituali  e come ogni azione fosse strettamente legata all'eccitazione sessuale che egli provava: descriverà minuziosamente l’eccitazione prodotta dall'atto di strangolare le sue vittime e di succhiarne il sangue dopo aver fatto scempio del corpo. 

Vincenzo Verzeni non reggerà a lungo ai lavori forzati e nel 1874 verrà trasferito nel  manicomio criminale di Milano dove presto tenterà il suicidio, dopo aver gravemente ferito un infermiere mordendolo ai genitali e causandogli l’asportazione di un testicolo. Secondo la versione ufficiale sarebbe morto a seguito del tentativo di suicidio, ma studi recenti sembrano datare la sua morte al 1918, nel paese di origine in cui era tornato dopo aver scontato 30 anni di carcere.

[A cura di G. Starnotti]
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Serial Killer: William Dale Archerd

15/9/2014

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Nato nel 1912 in Arkansas, fin da giovanissimo fu affascinato dalla medicina. Privo tuttavia dei mezzi economici e dell'impegno  necessario per seguire i corsi regolari, trovò lavoro in ospedale, dove accumulò attraverso la pratica una discreta conoscenza dell'uso dei farmaci. Nel 1940 venne assunto presso il Camarillo State Hospital in Cailfornia, nel reparto in cui venivano utillizzate terappie insuliniche per il trattamento delle malattie mentali. Nel 1950 fu condannato a S. Francisco per possesso illegale di morfina e messo in libertà vigilata per 5 anni. Tuttavia, a causa di un secondo reato, gli venne revocata la libertà vigilata e fu rinchiuso nel carcere di Chino. Evaso nel 1951, fu rapidamente catturato e trasferito nel carcere di San Quintino. Nel 1953 però gli venne concessa la libertà condizionale.
Anche la sua vita privata fu alquanto movimentata: delle sue 7 mogli, sposate in 15 anni, 3 morirono per misteriose malattie , tra il 1958 ed il 1966. Anche un numero sospetto dei suoi amici e parenti morì in strane circostanze.
Nel  1967 venne arrestato con l'accusa di tre omicidi di primo grado: quello della quarta moglie, morta nel 1956 dopo soli due mesi di matrimonio; quello di un giovanissimo nipote, morto nel 1961, e quello della settima moglie, la scrittrice Mary Brinker Arde, morta nel 1966. Secondo l'accusa, Archerd li avrebbe commessi praticando un'overdose di insulina, producendo in tal modo attacchi letali di ipoglicemia.  Fu sospettato anche di altri tre omicidi: quello di un amico, morto nel 1947; quello della quinta moglie, morta nel 1958, e quello di un altro amico, morto nel 1960. In tutti e tre i casi le vittime avevano mostrato i classici sintomi dell'ipoglicemia al momento del decesso.
Nel 1968 Archerd venne quindi condannato per tre omicidi; fu il primo caso negli Stati Uniti  in cui venne usata l'insulina come arma del delitto. La sua condanna a morte venne confermata dalla Corte Suprema dello Stato della California nel 1970 ma convertita in ergastolo due anni dopo. Il fatto che fra le vittime dei suoi omicidi vi fossero le sue malcapitate mogli gli valse il soprannome di “Barbablù”. Morì in carcere nel 1977.

[a cura d G. Starnotti]
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