Come un essere mitologico a metà strada tra divinità e supereroe, lo psicoterapeuta è investito di un ruolo riparativo assoluto, in cui i partner dovrebbero assistere passivamente. In realtà, nessun cambiamento è possibile senza un investimento emotivo da parte della coppia, attrice principale del processo.
“Finalmente qualcuno darà ragione a me, e torto a te!”
La conta dei torti e delle ragioni non è oggetto della terapia di coppia, semplicemente perché si tratta di un contesto non giudicante. Se una persona si sente ferita da qualcosa che il partner ha fatto, se ne discute insieme e si cerca di capire cosa ha fatto sentire come chi. I verdetti e le pene vengono assegnate nei tribunali, non dai terapeuti.
“Il terapeuta cambierà il/la mio/a partner, e sarà come dico io!”
La terapia non avviene all’interno di un concessionario automobilistico (tutt’al più, nel portone di fianco o al piano di sopra), quindi non è il luogo dove cambiare il partner con il modello successivo. A cambiare è la relazione, e questo non può avvenire senza un cambiamento che coinvolga entrambi.
“Anche se lo/la sto tradendo, al terapeuta non deve interessare!”
Questa affermazione non è totalmente errata, nel senso che non sta al terapeuta esprimere atteggiamenti morali sulle infedeltà. Il problema invece è che, in presenza di una terza persona, viene a cadere l’intero impianto della terapia. Una relazione parallela significa che uno dei due non ha motivazione per continuare il lavoro, perciò è inutile prendersi in giro tutti quanti e impiegare tempo (e denaro) per un qualcosa che si sa già di non volere.
Come per ogni terapia, la cosa migliore è confrontarsi con il terapeuta sugli eventuali dubbi e perplessità, così da evitare malintesi e fraintendimenti. Sarà compito del professionista indicare la strada più opportuna.