Il termine “flow”, coniato dallo psicologo croato-americano M. Csíkszentmihályi agli inizi degli anni ’70, viene adottato in psicologia dello sport per indicare una condizione mentale in cui un atleta si trova talmente immerso nella sua prestazione da sperimentare un vissuto di serenità e concentrazione, e da sentirsi totalmente assorbito dalla propria attività, fino a “dimenticarsi” di sé stesso, di ciò che accade intorno e talvolta persino del tempo che scorre. Questo stato mentale viene definito anche con altre espressioni relative a contesti specifici: in alcuni sport si dice “essere in palla”, in altri “essere nella zona” e nel contesto musicale si parla di “essere nel ritmo”.Si tratta di una condizione psicologica positiva sperimentabile in diversi contesti, che nello sport è riscontrata spesso in concomitanza delle migliori prestazioni (peak experiences): flow, o stato di grazia, e peak experience sono termini che appartengono al mondo dello sport ormai da anni .
L'esperienza di flow è stata da alcuni autori comparata ad altri stati di coscienza dalle sostanziali connotazioni positive, in particolare alla peak experience. La peak experience, costrutto teorico formulato da Maslow nel 1970, è caratterizzata da forti contenuti emozionali di gioia, profondo appagamento e smarrimento del sé in una dimensione mistica e transpersonale. È connessa alla tendenza verso l'autorealizzazione dell'individuo, ed è percepita come uno stato di grande significato per la vita del soggetto. Si configura come condizione rara, momento estatico che insorge in modo inaspettato e in cui l'individuo è coinvolto passivamente, senza dover necessariamente compiere azioni di propria iniziativa. Non è comune a tutti gli individui (Maslow l'aveva inizialmente individuata in un solo soggetto su 3.000 studenti di college da lui intervistati) e, pur presentando delle analogie, si differenzia dall'esperienza di flow per alcune caratteristiche:- lo stato di flow non è una condizione "di picco", come la peak experience, ma di estremo bilanciamento, su valori positivi, di tutte le componenti psicologiche;- nello stato di flow il ruolo dello stato affettivo non è preponderante: esso infatti non risulta estremamente positivo rispetto alle altre dimensioni dell'esperienza;- quella di flow non è un'esperienza estatica di smarrimento del sé, ma è un'esperienza caratterizzata da consapevolezza, controllo e impegno;- l'esperienza di flow non si limita soltanto alle attività di gioco o ricreative, essa si può associare alle attività più varie, comprese quelle lavorative, caratterizzate da una forte componente di obbligatorietà. L'essenziale è che il soggetto vi reperisca elevate opportunità d'azione, bilanciate alle proprie capacità nel farvi fronte;- l'esperienza di flow non è così rara: circa un adolescente su cinque la sperimenta;- nello stato di flow il soggetto non è passivo, come invece accade nella peak experience; d'altra parte non vi è neppure enfasi sugli esiti dell'attività. L'immersione nell'azione insieme alla motivazione intrinseca e alla situazione di rilassamento e controllo fanno dello stato di flow una situazione di per sé gratificante, indipendentemente dai risultati dell'azione stessa. Essi comunque tenderanno ad essere positivi per la natura stessa dell'esperienza, che - a partire dal bilanciamento tra capacità personali e opportunità d'azione - favorirà il "fluire" dell'attività ed il suo procedere verso il successo. L'esperienza di flow può facilitare la performance, ma non ne è il presupposto né il movente.- l'insorgenza dell'esperienza di flow non si può pianificare, si produce da sé senza essere programmabile o prevedibile: in questo senso è assimilabile alla peak experience. L'elemento discriminante è però la presenza di una attività cui l'individuo inizia a dedicarsi, ma non allo scopo di indurre l'esperienza. Nello svolgimento di una medesima attività, infatti, l'esperienza di flow si può verificare oppure no: dipende dalla situazione contingente, in particolare dalla percezione soggettiva del rapporto sfida-abilità (challenges e skills), oltre che dall'ambiente circostante, dal tempo a disposizione del soggetto, da ulteriori fattori interni o esterni che possono interferire nella focalizzazione dell'attenzione sul compito;- anche all'esperienza di flow, come alla peak experience, l'individuo associa un elevato significato e valore nell'ambito della propria vita. Tale significato va però interpretato in base a parametri differenti rispetto a quelli impiegati nel caso della peak experience: l'esperienza di flow si verifica spesso in associazione a compiti lavorativi, o nello svolgimento di attività che richiedono elevato impegno e che vengono percepite come significative per gli obiettivi sia a breve che a lungo termine. Anche il flow, come la peak experience, può non coinvolgere il comportamento, o meglio, l'azione materiale: molto spesso infatti le esperienze di flow sono connesse ad attività puramente mentali oppure contemplative.Questo è ciò che si intende con esperienza ottimale o flow (Csikszentmihalyi,1975, 1982, 1990, 1993, 2000; Massimini, Delle Fave, 1988; Jackson, Ford, Kimiecik, Marsh, 1998; Muzio et al., 2004).Lo stato di flow può limitarsi ad alcuni momenti di una prestazione sportiva o riguardare un’intera gara o partita, in relazione alle possibilità di mantenersi immersi in questo stato interiore derivanti dalle caratteristiche psicologiche di un atleta, dalla sua preparazione mentale ma anche dalla possibilità di assecondare i momenti peculiari della disciplina che si pratica. Sullo studio di queste tematiche, Csikszentmihalyi, nel 1990, ha sviluppato la “Teoria delle esperienze ottimali” basata sul concetto di flow considerato come lo stato in cui le persone sono così immerse in ciò che stanno facendo che tutto il resto sembra non avere importanza. L'esperienza in sé è talmente piacevole da indurre le persone a ripeterla anche a costo di grandi sacrifici.Situazioni come queste di solito si verificano quando corpo e mente vengonospinti al limite, nello sforzo consapevole di compiere qualcosa di difficile e utile; il flow è dunque qualcosa che viene provocato e ricercato, come quando un atleta si allena duramente per battere un record o vincere una gara importante. Queste esperienze, a lungo andare, conducono ad un senso di padronanza nel determinare il contenuto della vita. Conseguentemente, compiti ripetitivi e scarsamente complessi non vengono considerati come occasioni di esperienza, mentre lo sono le attività creative.L’uomo organizza e seleziona le informazioni e gli stimoli provenienti dal contesto secondo un criterio autonomo: vengono preferibilmente replicate quelle situazioni in grado di produrre uno stato di coscienza positivo, poichè l'individuo tende ad evitare situazioni ansiogene ricercando invece attivamente quelle attività in grado di produrre esperienze positive.
Maestro e psicologo sono figure di riferimento per l’atleta, in quanto in grado di attivare un percorso di training mentale per agevolare la possibilità di riprodurre o mantenere lo stato di flow durante una prestazione. L’attivazione di tale percorso passa attraverso l’allenamento di abilità di autoregolazione dell’attivazione (arousal), di strategie di controllo dell’attenzione, di tecniche di gestione di obiettivi (goal setting) e di capacità di autoregolazione emotiva e automotivazione basate sull’imagery.
E’ quindi opportuno chiarire il concetto di AROUSAL.
Nella gestione delle potenzialità di un atleta viene a determinarsi una sorta di delicato equilibrio tra “fatica psichica” e “fatica fisica”, tale che un eccessivo stimolo dell’una o dell’altra può portare allo stesso effetto, cioè l’affaticamento.
E qui entra in gioco il concetto di “AROUSAL” col quale si intende, in psicofisiologia, l’intensità dell’attivazione fisiologica e comportamentale dell’organismo; più semplicemente, quando l’organismo deve effettuare una prestazione, si attiva mettendo in moto tutta una serie di meccanismi che nell’insieme si definiscono arousal.
Questi meccanismi sono essenzialmente:
- attivazione del sistema nervoso centrale per cui si ha un aumento della vigilanza e dell’attenzione;
- attivazione del sistema muscolo-scheletrico per cui i muscoli si preparano allo sforzo;
- attivazione del sistema vegetativo simpatico per cui cuore e polmoni si attivano per sopportare lo sforzo.
L’energia psichica, cioè l’attivazione della mente che è alla base della motivazione, può essere positiva se associata ad emozioni come eccitazione e felicità, o negativa se associata ad emozioni come ansia e rabbia.
Questo vale anche per il Maestro e l’Istruttore: infatti anch’essi possono essere sottoposti a stress e subire, quindi, meccanismi di iper- o ipo-attivazione; si rende quindi necessario adottare delle strategie per abbassare o incrementare anche il livello di attivazione del Maestro/Istruttore per permettergli una direzione lucida ed equilibrata durante l’attività.
Un adeguato stato di attivazione (arousal), associato ad un basso livello di stress - e quindi a benessere e concentrazione - caratterizza lo stato di flow, nel quale l’attenzione è orientata sul compito (il risultato o la gara): l’atleta non è disturbato dai propri pensieri poichè è completamente assorbito dalla sua attività e sente di controllare le proprie azioni. Lo stato di flow rappresenta, quindi, il giusto mix, cioè il livello ottimale di energia psichica associata ad un adeguato livello di stress (cosiddetto eustress o stress positivo).
Ed è proprio restando in linea con le attuali tendenze della psicologia, in particolare della Positive Psychology (Seligman, 2003), che si è verificata un'importante virata anche nel contesto sportivo.
Oggi, l'approccio con l'atleta si concentra sui suoi punti di forza, supportandolo nella costruzione di un modello di funzionamento ottimale e nello sviluppo delle condizioni predisponenti la miglior performance.
Flow, infatti, è sinonimo di massimo coinvolgimento cognitivo ed emotivo nell'attività, di piacere intrinseco, di esperienza gratificante. È il contrario di noia, stress, apatia, demotivazione.
Uno studio di S. A. Jackson sugli atleti d’eliteSebbene le prime ricerche sul flow condotte da Csikszentmihalyi (1975) includessero anche l'analisi delle esperienze di alcuni atleti, le ricerche che seguirono furono indirizzate solo in minima parte allo studio del flow nello sport.Resta comunque importante stabilire in che misura il costrutto teorico di Csikszentmihalyi sia pertinente ad una adeguata descrizione dell'esperienza di flow negli atleti.Lo studio più rappresentativo in questo campo è stato condotto da S. A. Jackson (1996), ricercatrice presso l'università del Queensland in Australia, sugli atleti d’élite, che possiedono un maggior numero di esperienze a cui attingere per le considerazioni sul flow.L'intento principale di questo studio era quello di comprendere come l'esperienza di flow fosse vissuta ed interpretata dagli atleti e, in particolare, quanto la loro esperienza di flow fosse comparabile alle descrizioni teoriche del costrutto riportate da Csikszentmihalyi (1990). E' stato utilizzato un campione composto da 28 atleti ed atlete di alto livello (dove per alto livello si intende la partecipazione a competizioni internazionali), appartenenti a sport diversi.L'età media del campione era di 26 anni (deviazione standard = 4.83), con un minimo di 18 e un massimo di 35 anni.Come strumento di indagine è stato utilizzato un questionario (interview guide) appositamente sviluppato per questa indagine partendo da strumenti precedentemente utilizzati nella ricerca sul flow nello sport (Jackson, 1992; Jackson e Roberts, 1992).
Tenendo conto del fatto che i lavori di Csikszentmihalyi (1975), Privette (1983), Privette e Bundrick (1991), e le precedenti ricerche sul flownello sport (Jackson, 1992; Jackson e Roberts, 1992) avevano incontrato grosse difficoltà nel trovare il modo corretto di interrogare gli atleti riguardo al flow, la definizione operativa di "esperienza di flow" utilizzata in questa ricerca della Jackson (1996) è stata la seguente:
"uno stato di coscienza che implica il totale coinvolgimento in un'attività e che rappresenta un'esperienza intrinsecamente soddisfacente".
Lo scopo di questa ricerca era quello di comprendere il modo in cui gli atleti d'élite esperissero il flow durante la loro prestazione, se fosse uno stato che essi potessero descrivere e se queste loro descrizioni fossero congruenti al modello di Csikszentmihalyi (1990).
In effetti l’analisi delle risposte degli atleti alle domande riguardanti i loro vissuti di flow hanno rivelato un alto grado di congruenza con tale modello; dunque lo stato di flow, così come descritto in letteratura psicologica, appare molto pertinente all'esperienza di flow degli atleti d'élite.
L'analisi ha evidenziato che, nonostante l'idea che nello stato di flow i movimenti sembrino facili, alcuni atleti sono pienamente coscienti dello sforzo che producono in quei determinati momenti. Di più: per alcuni atleti, questa "coscienza dello sforzo" sembra essere la parte più piacevole dell’esperienza di flow.
I risultati di questo studio supportano in generale il modello di Csikszentmihalyi (1990); comunque non tutte le nove dimensioni del modello hanno ricevuto un totale riscontro quando sono state paragonate alle descrizioni del flow fornite dagli atleti.
Il fatto che esista una varianza nella percentuale degli atleti che descrivono la loro personale dimensione del flow, sottolinea l'idea che ci possano essere differenze individuali o sport-specifiche nel modo in cui ilflow viene esperito.
Esempi di tali differenze includono la percezione dello sforzo durante ilflow, con alcuni atleti che enfatizzano il fatto che durante il flow tutto sembra più facile, mentre altri affermano di essere pienamente consci dello sforzo.
Anche il modo in cui viene percepito il controllo appare differente, con alcuni atleti che indicano nella preoccupazione della prestazione un presupposto necessario all'insorgenza del flow.
(G. Starnotti)
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