La parola ansia deriva dal latino “anxius”= agitazione e da “angere”= stringere forte, strangolare. Rollo May ci ricorda che in tedesco, "angst" significa soffocare nelle strettoie.
In psicologia si definisce come uno stato di tensione emotiva spesso accompagnato da sintomi fisici quali sudorazione, tremore, palpitazioni ed aumento della frequenza cardiaca.
Si tratta di una reazione istintiva di difesa, un meccanismo di allarme che scatta in virtù dell’istinto di autoconservazione, anticipando un potenziale pericolo proveniente dall’ esterno o dall’ interno dell’individuo. Diventa patologica nel momento in cui diviene sproporzionata e va ad interferire con il normale svolgimento delle attività quotidiane, la realizzazione di obiettivi, il soddisfacimento di bisogni ed in generale con il benessere emotivo della persona.
Passiamo brevemente in rassegna la classificazione dei disturbi d'ansia:
- disturbo di panico senza agorafobia: ricorrenti attacchi di panico inaspettati, riguardo ai quali vi è una preoccupazione persistente;
- disturbo di panico con agorafobia*: sia ricorrenti attacchi di panico inaspettati che agorafobia;
- agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico: presenza di agorafobia e di sintomi tipo panico senza anamnesi di attacchi di panico inaspettati;
- fobia specifica: ansia clinicamente significativa provocata dall’ esposizione ad un oggetto o ad una situazione temuti, che spesso determina condotte di evitamento;
- fobia sociale: ansia clinicamente significativa provocata dall’ esposizione a certi tipi di situazioni o di prestazioni sociali, che spesso determina condotte di evitamento;
- disturbo ossessivo-compulsivo: presenza di ossessioni (che causano ansia o disagio marcati) e/o compulsioni (che servono a neutralizzare l’ansia);
- disturbo post-traumatico da stress ( post-traumatic stress disorder-PTSD): rivivere un trauma insieme a sintomi di aumento dell’attivazione e evitamento degli stimoli associati a quell’ evento. Rimandiamo un approfondimento di tale disturbo ad una trattazione specifica successiva.
- disturbo acuto da stress: sintomi simili a quelli del disturbo post-traumatico da stress che si verificano immediatamente (nel giro di un mese) a seguito di un evento estremamente traumatico;
- disturbo d’ansia generalizzato: almeno 6 mesi di uno stato permanente di allarme senza che vi sia un reale pericolo e paura che succedano cose negative;
- disturbo d’ansia dovuto ad una condizione medica generale: sintomi rilevanti di ansia ritenuti conseguenza fisiologica diretta di una condizione medica generale;
- disturbo d’ansia indotto da sostanze: sintomi rilevanti di ansia ritenuti conseguenza fisiologica diretta dell’assunzione di droga, di un farmaco o dell’esposizione ad una tossina;
- disturbo d’ansia non altrimenti specificato: disturbi con ansia o evitamento fobico rilevanti che non soddisfano i criteri per nessun specifico disturbo d’ansia o con sintomi che appaiono contraddittori.
Definiamo l'attacco di panico come un periodo preciso durante il quale vi è l'insorgenza improvvisa di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati con una sensazione di catastrofe imminente.
È descritto dalla comparsa improvvisa, nell’arco di 10 minuti al massimo, di almeno 4 tra questi sintomi:
- Palpitazioni, cardiopalmo, tachicardia
- Sudorazione
- Tremori
- Dispnea, sensazione di soffocamento
- Sensazione di asfissia
- Dolore o fastidio al petto
- Nausea o disturbi addominali
- Sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
- Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi)
- Paura di perdere il controllo o di impazzire
- Paura di morire
- Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
- Brividi o vampate di calore
Se gli attacchi di panico si ripetono nel tempo, siamo in presenza di un disturbo da attacchi di panico (DAP).
La persistenza del DAP spesso si associa a una serie di manifestazioni che aumentano la sofferenza dell’individuo:
• Ansia anticipatoria: può verificarsi a seguito del primo attacco e rappresenta un doloroso senso di attesa di un nuovo episodio. L’evento è così imprevedibile che la persona si domanda dove e quando avrà il prossimo attacco.
• Condotte di evitamento: la persona tende a evitare luoghi e/o situazioni in cui potrebbe sentirsi in pericolo.
• Dipendenza dagli altri: la paura di un nuovo attacco porta alla ricerca di vicinanza di persone che aiutano l’individuo a sentirsi al sicuro, fino a limitare l’indipendenza.
• Ipocondria: la convinzione che all’origine del disturbo ci sia una causa organica (più socialmente accettabile di una causa psicologica) provoca la paura di avere una malattia.
• Stato di allerta verso i segnali inviati dal proprio corpo: qualsiasi sintomo fisiologico legato allo stato dall’allerta viene interpretato come precursore di un nuovo attacco, andando ad accrescere ulteriormente tale stato e di conseguenza aumentando l’ansia, in un circolo vizioso.
• Depressione: gli attacchi provocano un senso di abbattimento e demoralizzazione crescente, la persona teme di non guarire più e si sente incompresa.
• *Agorafobia: paura degli spazi aperti, di trovarsi intrappolati in un luogo e/o situazione in cui la fuga diverrebbe molto difficile o imbarazzante;
Abbiamo detto come l'ansia si connetta ad una serie di altre manifestazioni che contribuiscono ad alimentarla, in una sorta di circolo vizioso. Si verifica il primo attacco, lasciando quel senso di malessere e paura di un nuovo episodio che abbiamo chiamato ansia anticipatoria. Inizia l'eccessiva attenzione riguardo ai segnali fisiologici di allerta: ogni segnale è interpretato come anticipatorio del prossimo attacco. L'ansia aumenta sempre di più, in una sorta di profezia autoavverante: è successo di nuovo, me lo sentivo.
Si attuano condotte di evitamento verso tutte quelle situazioni in cui potrebbe manifestarsi un nuovo attacco.
Proviamo a esemplificare: devo uscire di casa per andare ad una festa di compleanno...
...e così via.
Premessa: è sempre difficile ammettere di avere un problema di natura psicologica, soprattutto perché si teme di essere giudicati e stigmatizzati. Per questo motivo è molto frequente che chi soffre di attacchi di panico inizi una lunga trafila di indagini diagnostiche per accertarsi dell'origine biologica degli attacchi. Ovviamente per una buona diagnosi è sempre giusto interrogarsi su possibili cause organiche, ma una volta escluse, è importante lavorare sull'origine dell'ansia.
Spesso chi soffre di ansia ci chiede un medicinale, una pillolina magica che faccia sparire tutto, "normalizzando" il corpo: ci sono casi in cui un ansiolitico (previo parere medico) può essere un ausilio per il sintomo, ma è fondamentale lavorare sulle cause.
Facciamo un altro esempio. Se ho la febbre alta, nell'urgenza dovrò fare in modo di abbassare la temperatura, ma sarà importante identificare l'origine di questo scompenso. La febbre, così come l'ansia, è un segnale che il corpo ci da per dirci che non sta bene, e in quanto tale va ascoltato; fa parte di quell'istinto di autoconservazione che ci tutela dai pericoli.
All'interno di un percorso psicologico paziente e terapeuta lavorano insieme per "ascoltare" l'ansia, dando un senso a questi segnali di allerta. Quale "pericolo" li ha innescati? Diventa cruciale collegarli con la storia dell'individuo, le sue relazioni, i suoi contesti.
-American Psychiatric Association (2001), DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali - Text Revision, Masson, Milano;
- Sanavio E., Cornoldi C., Psicologia clinica, Il Mulino, Bologna, 2001